sabato 15 novembre 2014

SULL'OTTIMISMO (PETER WESSEL ZAPFFE /1)

Non avesse altri pregi notevoli, ricorderei comunque True Detective come la serie TV che mi ha fatto conoscere Thomas Ligotti e di conseguenza Peter Wessel Zapffe. Del primo, vivente, forse Il Saggiatore pubblicherà alcuni libri in Italia. Del secondo, già passato a miglior vita, non esiste uno straccio di traduzione in italiano, ed è anche dura trovare testi in inglese. Vorrei tradurre alla meno peggio su queste pagine i rari stralci che si trovano in Internet.

Inizio con una favoletta, guardacaso sui gatti (quest'uomo mi sta già simpatico). Cioè, sugli uomini ma in forma di gatti. Premetto solo che, rispetto a Zapffe, Schopenhauer era ottimista e filantropo.







Peter Wessel Zapffe
Favola Animale (estratta da "Sul tragico", Oslo 1941)

C'era una volta una nave che trasportava gatti - molti gatti di tutti i tipi - a una esposizione mondiale alle Hawaii. Durante il viaggio la nave affondò portandosi dietro gli uomini e i topi, mentre i gatti, aggrappati a materassi e altre cose strane, giunsero alla deriva su un'isola deserta. Non c'era vita su quest'isola, tranne alcuni coleotteri vivaci e irresistibilmente divertenti ma purtroppo non commestibili. Così, a prima vista, sembravano tutti condannati a una morte miserabile.

Poi scoprirono che la morbida argilla lungo la spiaggia traboccava di grasse e deliziose conchiglie, facilmente violabili con un artiglio o due. Per la maggior parte dei gatti nacque un terribile dilemma. L'unica mossa degna di loro sarebbe stata saltare come tigri sui coleotteri, l'alternativa essendo un'attività sudicia a cui nessun gatto del genere Felidae si sarebbe mai abbassato. Essi rappresentavano il Gatto com'era saltato fuori dalla mente di Dio - come uno di loro aveva imparato da mamma gatta quand'era un micetto a casa della signora Bloom - e il solo pensiero li aborriva profondamente.

Ma 'gatto, schmat', come la signora a volte diceva, e naturalmente non passò molto tempo a che i primi immergessero le loro zampe in quel fango, generando presto una vera e propria corsa all'oro. Dimostrarono una tale indifferenza agli standard felini, che si trovarono piacevolmente nella rena riscaldata dal sole a rimpinzarsi e procreare - con la progenie che leccava vongole non appena svezzata. A intervalli adeguati sollevavano i loro musi sudici e guardavano di traverso gli snob a terra; il disprezzo e il ridicolo erano alterati da un odio incandescente, poiché la vista di quei gatti lontani ricordava loro di aver tradito il prezioso patrimonio di famiglia.

L'ottimismo diventò un modo prezioso per smorzare la consapevolezza della loro colpa e inferiorità. In poco tempo, dovettero estendere le loro difese; chiamarono "nevrotici" e "psicotici" i gatti a terra - parole difficili, ma stimolanti per la colonia infangata. Infine, un analista fu inviato dalla spiaggia; trovò resistenza alla riabilitazione e diagnosticò a quei gatti la paura dell'acqua. I plebei erano in trionfo, ma anche gli altri si convinsero della spiegazione e confermarono le loro ipotesi, sapendo bene dove volevano andare a parare.

Per contro, i gatti rapaci diventarono pessimisti. Non a causa di certi gravami a cui gli altri davano peso - lesioni e fame, soffocamento e freddo - ma per essersi trovati in un mondo privo di parole adeguate per la sacra formula nei loro cuori. Come riconoscimento di questo fatto limitarono la riproduzione, poiché il futuro appariva loro sempre più oscuro ogni giorno che passava.

Tra di essi sorsero profeti a insegnare l'arte della speranza: "In un tempo lontano arrivammo qui da una terra dove gli oggetti del nostro nobile scopo potevano essere mangiati e digeriti. Eppure molti di noi erano indolenti, trascuravano di esercitare agilità e forza, ed è per questo che la nave è affondata. Ora la morte attende i fedeli, ma dopo la morte una nuova nave verrà per quelli che non si sono piegati. E poi tutti coloro che vivevano nel peccato periranno, e nessuna nave verrà a liberarli."

Ma la fame lacerava le loro viscere, piagnucolavano in molte tonalità e dicevano: "Zwei Seelen Wohnen, ach, in unserer Brust" ("Due anime vivono, ahimé, nei nostri petti!" n.d.t.) Qualcun altro tradì e andò tra il volgo e si saziò, mentre altri si convertirono alla parola del profeta e tornarono a terra e purificarono il loro pelo e si prepararono per la grande partenza. I più fieri formarono una confraternita, dichiarando pubblicamente che è dovere di ogni gatto onesto morire prima di vendere la propria anima per un piatto di vongole. E quando il leader sentì venir meno i suoi poteri, si distese su un ceppo ad attendere ciò che gli umani chiamano una morte tragico-eroica. Molti lo venerarono come un santo e seguirono il suo esempio, poiché non potevano dimettersi utilmente; quelli rimasero fedeli ai più alti ideali di felinità pur avendoli visti solo attraverso le parole consolatorie del profeta, e combatterono la disperazione nei loro cuori.

Eppure, la maggioranza in entrambi i campi diventò schiava del dubbio eterno, dividendo il tempo tra il disagio dovuto alla sazietà e i desideri divoratori dovuti all'astinenza. Fu naturalmente un sollievo essersi sbarazzati degli aristocratici, ma il nuovo proposito di mescolarsi ai granchi alla fine si rivelò irrealizzabile.


COSA SUCCEDE MENTRE SCRIVO QUESTO POST
Nello stereo: Sia, Chandelier con il repeat. Madò che bella canzone!

domenica 31 agosto 2014

TERAPIA DEL VEDANTA

Oggi sappiamo che l'umore dipende in buona parte dalla chimica dell'organismo. Allora come si può prendere sul serio il malumore?

E' il solito problema: la ragione può avere la meglio sulle emozioni? Certo che sì, gli esempi non mancano; ma anche i controesempi non mancano. A volte vince l'una, a volte vincono le altre.

A me basta leggere poche righe dell'Ashtavakra Gita per tornare sereno. Ha lo stesso effetto di una porzione di insalata e una banana.

domenica 22 giugno 2014

FILOSOFIA E PATOLOGIA

UNA METAFORA

So che non dovrei occuparmene, che sul problema della conoscenza aveva già detto qualcosa di definitivo Socrate più di 2000 anni fa (non è possibile, punto), che le uniche cose su cui ci possiamo interrogare sono le credenze delle persone, i loro desideri, i concetti che strutturano a partire da credenze e desideri. Ovvero, ciò che va dall'uomo in giù, ciò che egli produce e non ciò da cui proviene. Però non riesco a non interrogarmi sull'essenza della realtà.

Tutta colpa di Erwin Schrodinger, che oltre a essere stato un fisico quantistico, ha scritto anche di filosofia con un occhio all'induismo. Una volta ha prodotto una metafora stupenda, a proposito della posizione dell'uomo nel mondo:

Talvolta un pittore pone in un suo grande quadro una figura minore in cui rappresenta se stesso. Da un lato esso è l'artista che ha creato il tutto; nel quadro egli è però una figura accessoria senza importanza, che potrebbe anche mancare senza compromettere l'effetto complessivo.

Gli serve a spiegare un'altra affermazione, a dir poco sconvolgente (perché non ne siamo tutti sconvolti? Perché a settant'anni da quando scriveva queste cose, non sono state tratte conseguenze etiche e morali condivise universalmente? Eppure non era un santone cappellone indiano che gli occidentali possano liquidare come uno stravagante visionario, è stato un premio nobel austriaco le cui scoperte stanno alla base di buona parte della tecnologia contemporanea):

La ragione per cui il nostro ego senziente, intelligente e pensante è introvabile all'interno della nostra rappresentazione scientifica del mondo è spiegabile facilmente con otto parole: perché è esso stesso quella rappresentazione del mondo. Esso è identico col tutto e perciò non vi può essere contenuto come parte. E tuttavia: questi io coscienti sembrano essere molti, di mondi invece non ce n'è che uno.
...
Colui che scambia le sue allucinazioni o le visioni dei suoi sogni con la realtà, noi lo chiamiamo pazzo.
...
Il mondo mi è dato una sola volta, non ve n'è uno esistente e l'altro percepito. Il soggetto e l'oggetto sono una sola cosa. Non si può dire che la barriera tra di loro sia crollata quale risultato delle recenti esperienze, per il semplice fatto che questa barriera non esiste.
Il mondo è dato in una sola volta. Nulla è riflesso. L'immagine riflessa e quella originale sono identiche. Il mondo esteso nello spazio-tempo è solo la nostra rappresentazione.

PATOLOGIA

A fronte di tutto questo, persino i deliri torinesi di Nietzsche acquistano qualche significato:

Quello che è spiacevole e che mette alla prova la mia modestia è che in fondo io sono tutti i nomi della storia...

Dopo che è risultato in maniera irrevocabile che sono stato proprio io a creare il mondo, anche l'amico Paul appare previsto nel piano del mondo...

Trascinato via da Torino con l'inganno e riportato in Germania da Franz Overbeck, finirà i suoi giorni catatonico in una clinica per malati di mente.

In conclusione mi chiedo: se vengono riconosciute come geniali e insegnate a scuola le posizioni a dir poco controintuitive di certi filosofi (si vedano anche il vescovo Berkeley e il vivente Ted Honderich - che gli editori italiani si guardano bene dal tradurre), perché i soggetti che sembrano percepire la realtà in un modo diverso da quello della massa sono bollati come malati? Perché Nietzsche è stato internato e Schrodinger no? Qual è il confine tra filosofia e patologia?


venerdì 25 aprile 2014

SCHADENFREUDE? (GRAZIE HAIM)

Mi sono imbattuto per caso in un video del programma TEDx di Giaffa (Israele), in cui il professor Haim Shapira parla in termini comprensibili ed esilaranti di teoria dei giochi e comportamento umano. Una meraviglia. Ho voluto tradurre il contenuto del suo breve (non brevissimo) intervento per questo post, dividendolo in paragrafi. Non credo di aver violato alcun copyright. Il video originale si trova qui.


AL BISTROT

Immaginate la seguente situazione: vado in un bistrot, mi siedo, guardo il menu e mi accorgo che servono il mio piatto preferito: filetto alla Rossini [in italiano nel video]. Sono compresi, ascoltate, filet mignon servito su crouton con in cima una grossa fetta di foie gras guarnita di tartufo nero, e per finire vino di Madeira. Per dirla in breve: tutto ciò che serve a garantire al cardiologo una bella vita, ok?

Da un lato il piatto è molto appetitoso, credetemi, ma quando guardo meglio il menu mi accorgo che costa 200$. Ora valuto: ordinare o non ordinare? Lo so, suona molto shakespeariano, ma manca della grandezza di Shakespeare perché la soluzione è molto semplice: tutto ciò che devo chiedere a me stesso è se il godimento a monte vale il prezzo indicato, quindi se ordinare o non ordinare non importa affatto e non ha alcuna connessione con la teoria dei giochi, che è l'argomento di cui sto per parlarvi. La teoria dei giochi qui non c'entra nulla.

Bene, consideriamo ora una situazione leggermente diversa. Vado allo stesso bistrot, ma questa volta accompagnato da nove amici, per un totale di 10 persone affamate. Prima di sederci decidiamo di dividere il conto in parti uguali. Ecco una situazione molto molto più interessante! La mia strategia di solito è di aspettare educatamente e vedere cosa vogliono ordinare gli altri, e capita sempre che siano molto modesti: niente! Cappuccio, cappuccino, macchiato, macchiatone, Perrier, San Pellegrino, espresso, espresso doppio, Diet Coke. Davvero umili.
A questo punto vengo colpito da un'idea ingegnosa: è la mia opportunità di  avventarmi su un filetto alla Rossini. Invece di pagarlo 200$, che è davvero troppo caro, ora lo posso avere per soli 20$. Suona così logico, economico e semplice, che chiamo il cameriere e gli dico "Filetto alla Rossini, per favore." [in italiano nel video]

Cosa ne pensate: è davvero un'idea brillante? Cosa succederà ora? I matematici si chiederebbero qual è la dinamica del gioco.
Avrete già capito che la mia carissima ordinazione è una dichiarazione di guerra! La rappresaglia è inevitabile.

George, che solo un minuto prima non aveva per niente fame e aveva ordinato solo un espresso doppio, sente d'un tratto i morsi allo stomaco, chiama indietro il cameriere e si fa portare un pasticcio Robushon di tartufi. Ma non è tutto: Alice dimentica di essere a dieta (prima aveva ordinato solo una Diet Coke), ora vuole - non ci crederete - una bistecca texana grande. Ormai avrete inteso la deriva: tutti i miei amici sembrano essere diventati grandi conoscitori di cibi prelibati e ciascuno di loro ordina qualcosa dalla lista dei piatti più costosi. Quando finiamo di mangiare e arriva il conto, la spesa è di 404$ a testa, ok?

Capisco di aver fatto un grave errore, uno di quelli tosti. Ma la domanda interessante è: sono stato l'unico? I miei amici, che volevano solo non essere fregati e non farmi mangiare a spese loro, alla fine hanno pagato UNA FORTUNA solo per non fare la figura dei babbei, ma l'hanno fatta o no? Dove sta il comportamento razionale in tutto questo?

Potrei parlarvene a lungo, invece voglio dirvi solo che questo esempio, nella teoria dei giochi, è detto "dilemma della cena", ma avrei un nome migliore da proporre: "come perdere tanti amici in un colpo solo". Scegliete il nome che preferite, ma in ogni caso questo esempio mostra un problema in cui la teoria dei giochi si applica alla perfezione.

TEORIA DEI GIOCHI - ESEMPI SPICCIOLI

Possiamo definire la teoria dei giochi come il prendere decisioni in maniera interattiva, nel senso che, quando sei lì lì per prendere una decisione, devi mettere in conto che non sei solo, ci sono altre persone e devi presupporre - meglio per te se lo fai - che sono intelligenti ed egoiste quanto te. Questa è la teoria dei giochi.

Vi darò qualche altro esempio. Uno straccivendolo che deve decidere quanto rapidamente abbassare i prezzi quando contratta con i clienti. Qual è il dilemma qui? Molto semplice: abbassare i prezzi troppo rapidamente è un'indicazione che le stoffe non valgono una cicca, ok? Ma anche scendere lentamente non è un'idea molto brillante, perché i clienti - si sa - hanno poco tempo da perdere. Credetemi, esiste un modello matematico per calcolare esattamente la velocità con cui abbassare il prezzo, ma non credo che la maggior parte degli straccivendoli leggano libri sulla teoria dei giochi prima di andare al mercato.

Un altro esempio: le vendite all'asta. Come progettare un'asta? Ci sono aste alla tedesca, aste Vickrey, aste all'inglese, versioni giapponesi delle aste all'inglese, non so... E' teoria dei giochi. Quali strategie adottate quando partecipate a un'asta? E' un altro vero esempio di teoria dei giochi.

Vi dirò dove potete trovare un altro ottimo esempio. E' circa a un terzo - se ricordo bene - del film A Beautiful Mind, diretto da Ron Howard e con Russell Crowe. Sapete, molta gente pensa che Russell Crowe abbia effettivamente vinto un premio nobel per l'economia, ma lì interpretava John Nash. Circa a un terzo del film, dicevo, assistiamo a questa scena: John Nash e alcuni suoi compagni siedono in un bar, ricordate? Bevono soda, vino, parlano dei soliti argomenti da bar, sapete, topologie differenziali negli spazi aperti e cose simili, quando improvvisamente entrano alcune donne. Una di loro è LA BIONDA. Ron Howard non aveva molta fiduca nell'intelligenza degli spettatori, quindi la più carina è la bionda, e tutte le altre... ok, brune. Ora, tutti i compagni di John Nash dicono "Ci proveremo con la bionda", ma Nash li ferma: "E' una strategia pessima. Cosa vi aspettate che succeda? Andiamo tutti dalla bionda e ci blocchiamo a vicenda. Quindi indispettiremo le brune, e passeremo la serata molto molto molto soli." John Nash dice che la strategia migliore è di ignorare la bionda. Ignorarla e andare direttamente dalle brune, così spunteremo tutti un appuntamento.
Gli amici lo ascoltano, lui avvicina la bionda e sapete bene cosa succede: John Nash ci prova, lei diventa la sua ragazza, e il resto è storia.

Un altro esempio di teoria dei giochi: le negoziazioni. Tutti i tipi di negoziazione, dalle restrizioni sulla caccia alle balene agli accordi di pace, sono teoria dei giochi. Israele che valuta le opzioni per prevenire la minaccia iraniana, è di nuovo teoria dei giochi. Coca Cola che calcola se abbassare i prezzi prima di Natale o meno... Ci sono un sacco di esempi.

IL GIOCO DELL'ULTIMATUM

Vi presento un caso con qualche dettaglio in più. Voglio solo dirvi che un gioco è una radiografia matematica sulle caratteristiche davvero importanti di queste situazioni. Parliamo ora di questo gioco chiamato "gioco dell'ultimatum". Le regole sono molto semplici: supponiamo che ci siano due giocatori, Archibald e Mortimer. Archibald e Mortimer interagiscono per decidere come dividere una certa quantità di denaro, diciamo 100$. Le regole: Archibald propone una spartizione, e Mortimer può accettarla o rifiutarla; se la accetta, i soldi vengono divisi come suggerito; se la rifiuta, nessuno dei due riceve un quattrino.
Se non è chiaro lo rispiego meglio: per esempio, Archibald propone di dare a Mortimer 10$. Se Mortimer ci sta, si becca 10$ mentre Archibald ne tiene 90; se rifiuta, nessuno dei due prende nulla, ok?
Sembra un gioco fin troppo semplice, quasi banale. La maggior parte della gente pensa intuitivamente che la soluzione migliore sia essere equi e dividersi 50$ e 50$. Ma, se credete alla matematica, le cose non stanno così. La matematica dice che Archibald darà a Mortimer solo un dollaro.

Perché? Pensiamoci un attimo. Mortimer deve scegliere tra due alternative:
1. prendersi un dollaro;
2. non prendere niente.
Ma sappiamo tutti che 1 è meglio di niente, quindi il modello matematico dice ad Archibald "Dagli uno straccio di dollaro e ne sarà ben felice". Lo pensate davvero? Mortimer accetterà un patto così poco equo? Ok, poniamo il caso che non sia solo un dollaro, ma anche 10 o 15. Il risultato sperimentale mostra - e qui non sono molto preciso ma questo mi risparmia un bel po' di spiegazioni - che molto spesso la gente non è per niente felice se la proposta resta sotto i 20 dollari. Di solito la rifiutano.

E' abbastanza sorprendente, perché c'è un modello conosciuto con il nome di homo oeconomicus secondo cui la gente cerca molto razionalmente di massimizzare il proprio utile. Se è così, perché qualcuno dovrebbe rifiutare 10$ e decidere di non guadagnare niente? Questo è il punto, dobbiamo chiamare uno psicologo, non è più questione di matematica ma di psicologia.
Gli psicologi ci dicono che alcune persone, forse molte, provano una grande soddisfazione nel punire i giocatori sleali. "Perché mi dai solo 10$? Non è giusto." E' in ballo la dopamina. Alla gente questo comportamento non piace. Possiamo andare ancora più a fondo: forse conoscete la teoria della relatività di Einstein, ma c'è un'altra teoria della relatività scritta dal grande autore russo - forse il più grande - Lev Nikolaevic Tolstoj. Tolstoj spiega che di solito le persone non sanno cosa vogliono, e non si chiedono se qualcosa è buono o cattivo, ma stanno sempre lì a confrontare: che cos'ho io, cos'hai tu, cos'ha lui...

Farò una traduzione in termini moderni della sua idea. Diciamo ad esempio che io ho una versione semplice dell'iPhone, un modello base ma UNICO. E' il primo, nessun altro ce l'ha, forse solo io e mia moglie. Quindi provo un senso di gioia eccessiva, sono l'unico con l'iPhone.
Ma, se improvvisamente esce un iPhone più sofisticato del mio e tutti hanno questo nuovo modello mentre io ho solo quello base, piombo in una profonda infelicità. Non riesco neanche più a comporre chiamate, non so più come richiamare i numeri, va bene? Non so, non è più buono, lo butto.
Tolstoj ci dice che le persone non fanno che paragonare. Non c'è buono, cattivo, povero, ricco, solo paragoni, paragoni e ancora paragoni con quello che hanno gli altri.

Quindi, se questo è il metro - e non dimenticate la Schadenfreude, una parola tedesca inclusa persino nell'Oxford Vocabulary che sta per "provare piacere per le sfortune altrui" - se guardiamo da vicino questo esempio, capiremo meglio le cose. Facciamolo.

Mortimer ha due scelte: prendersi 10 dollari con Archibald che se ne tiene 90, oppure rifiutare il patto lasciando entrambi con zero dollari. Ma quello a cui realmente guarda Mortimer è la DIFFERENZA, non quanto potrebbe intascare. Quant'è la differenza? Se Mortimer ha zero dollari, si trova esattamente nella stessa situazione di Archibald. 0 - 0 = 0, siamo pari, va benissimo, sono felice. Ma se Mortimer prende 10$ e Archibald 90$, 10 - 90 = -80, è un colpo al cuore, non lo posso permettere, non esiste!

Gore Vidal una volta scrisse un breve corso, davvero molto breve, sulla psicologia umana. Ve lo voglio dire, è questo:

Non è sufficiente avere successo. Gli altri devono fallire.

Fine del corso. E' davvero molto breve, ve l'avevo detto.

Ma i motivi, come sempre, sono molto più complicati. Freud una volta disse che tutto è più complicato di quello che puoi pensare, anche se pensi di aver inteso questa frase. E' ancora e ancora più complicato. Ho un libro - che ci crediate o no - di 654 pagine solo su questo gioco dell'ultimatum, sui risultati, se le donne sono più generose degli uomini, se la bellezza può essere un problema, un sacco di cose diverse, inclusi gli aspetti matematici. Ma non vi parlerò di matematica. Quando lo faccio vedo che alla gente non piace anche se non capisco il perché.

LA VERSIONE SIMMETRICA DEL GIOCO DELL'ULTIMATUM

Quella che voglio raccontarvi ora è la versione simmetrica di questo stesso gioco, introdotta dal brillante matematico israeliano Robert Yisrael Aumann, premio nobel per l'economia nel 2005 per il suo lavoro pionieristico su risoluzione dei conflitti e cooperazione.
La versione di Aumann è così: due persone, Tom e Boris, sono in una stanzina buia; con loro c'è un uomo molto strano con un abito nero e una valigia pure nera. Costui dice a Tom e Boris che nella valigia c'è un milione di dollari in contanti, e li darà loro senza problemi a una sola condizione: i due devono negoziare la cifra, e se trovano un accordo possono tenersi la somma. Vedete come in questo caso nessuno abbia il ruolo di proponente, nessuno quello di decisore, devono solo negoziare, ok? Una valigia con un milione di dollari in contanti che devono essere spartiti.
Tom, che è molto razionale e pacifico, dice "Che gioco divertente e stupido" rivolgendosi a Boris, "E' così ovvio e semplice: io prendo metà della cifra, tu l'altra metà e ce ne usciamo da questa stanza con mezzo milione di dollari a testa." Semplice, ovvio. Ma ecco arrivare la grande sorpresa. Boris lo guarda e dice con voce determinata "Non so di cosa parli, non so cosa ci sia di così semplice e ovvio. La mia soluzione è un'altra e molto diversa: io voglio 900.000 dollari, ti darò 100.000 dollari, e questa è la mia ultima offerta. Prendili o vattene." Poi aggiunge "Sono del tutto pronto - DEL TUTTO PRONTO - ad andarmene senza niente, niente accordo, niente soldi, per me non è un problema."
Tom è sorpreso e chiede a Boris: "Starai scherzando?" Boris gli risponde "Sono russo di Cecenia, noi non scherziamo mai, e non ho alcun senso dello humour quando si tratta di affari. E' la mia ultima offerta: 100.000 dollari a te, il resto per me, prendere o lasciare, sto per andarmene."
Ora a Tom, che è molto razionale, fuma il cervello. Che fare? Si scalda così tanto che potreste bollire un pentolino d'acqua sulla sua testa. Riflette. "Se non accetto l'accordo non prendo niente, e sarebbe un peccato." Quindi decide di stringere la mano a Boris e se ne esce dalla stanza con solo 100.000 dollari e molto agitato.

PER CONCLUDERE

Potrei dirvi un sacco di cose sull'importanza della storia che vi ho appena raccontato, ma forse la più importante è che a volte essere razionali quando si ha a che fare con persone irrazionali non è così razionale, ed essere irrazionali può essere molto razionale. E' di nuovo un po' complicato. In ogni caso, una volta il grande poeta greco Archiloco disse che un discorso lungo è un grande male, quindi non farò alcun discorso lungo ma riassumerò. La sostanza è questa: Abba Eban, che è stato Ministro degli Esteri di Israele, ha detto una frase stupenda, cioè "Gli uomini e le nazioni si comportano saggiamente una volta che hanno esaurito tutte le alternative."
Non sono del tutto d'accordo, perché penso che a volte gli uomini e le nazioni non si comportano saggiamente NEANCHE dopo aver esaurito tutte le alternative.

Spero che la teoria dei giochi possa insegnarci qualcosa, mostrare la via per risparmiarci tutte le alternative e andare dritti al comportamento più saggio. Grazie a tutti.

mercoledì 12 marzo 2014

SCOMBUSSOLARE L'ABITUALE (oscilloSCOPE /3)

Shaking the Habitual è l'ultimo album dei The Knife, duo elettronico svedese composto da Karin Dreijer Andersson e da suo fratello Olof.

Karin Dreijer Andersson è anche la voce affilata che canta What Else Is There? dei Royksopp, ma non è la diafana modella protagonista dell'inquietantissimo video. E' quella con la gorgiera che mangia nervosamente una mela poco oltre la metà.


What else is there? la conosco da tempo, mentre Shaking the Habitual l'ho scoperto solo adesso anche se è uscito un anno fa. La scoperta più felice è stata il messaggio che veicola. Innanzitutto il titolo, tratto da una frase di Michel Foucault:

Il lavoro di un intellettuale non è plasmare la volontà politica degli altri; è, attraverso le analisi fatte nel proprio campo, riesaminare prove e ipotesi, scuotere i modi abituali di lavorare e di pensare, dissipare familiarità convenzionali, rivalutare regole e istituzioni.
 The Knife portano in musica questo programma con un disco davvero strano, pieno di voci distorte, ritmi tribali, brani sperimentali che sfiorano i 20 minuti di durata, oltre a qualche pezzo di più facile ascolto ma che non sentiremo per radio. Insomma, un disco sicuramente insolito, di quelli che fanno gongolare i recensori più intellettualoidi; sicuramente un'opera coraggiosa (doppio CD e triplo LP), che non mi sentirei di definire un capolavoro.

Il vero capolavoro è all'interno della confezione dell'LP (credo sia anche nell'edizione in CD), ed è un fumetto esteso su due grandi poster dall'irresistibile titolo "END EXTREME WEALTH": PORRE FINE ALLA RICCHEZZA ESTREMA.
Una signorina introduce il nuovo obiettivo del millennio: appunto, porre fine alla ricchezza estrema entro il 2015. Una serie di professionisti - insegnanti, tecnici, etc. - raccontano a turno come hanno studiato il fenomeno dell'eccessivo arricchimento di alcuni a scapito dell'impoverimento di molti e come lavorano per arginarlo.
La storia si conclude con un coro eterogeneo che canta "Heal the rich" e con il motto "Make extreme wealth history", l'altra faccia della medaglia del famoso "Make poverty history" tanto caro a Bob Geldof.

Oggi non sono più tanti i dischi che contengono messaggi politici, nei testi o nelle note di copertina. Questo merita di essere segnalato.

domenica 2 febbraio 2014

GENESI DEL SOGNO DI UN PAZZO


RECENSIONE DEL LIBRO
"PERCHE' IL MONDO ESISTE? Una detective story filosofica" di Jim Holt


Di fronte alla domanda "Perché esiste qualcosa anziché il nulla?" ogni altro problema impallidisce presto. La storia dell'uomo non è che un misero tentativo di lasciarsi alle spalle questo interrogativo: inventiamo problemi artificiali di cui già si conoscono le risposte pur di sopravvivere all'insopportabile impossibilità di risolvere il terribile enigma originale. Creiamo Dio, il lavoro, il denaro, il capitalismo, il commercio, la finanza, ... Tutte sovrastrutture rassicuranti, tutti giochi, ovvero gruppi di regole ai quali sottostiamo volontariamente per dare un senso - seppur effimero - alla vita. Non ci salvano dalla morte, ci tengono solo alla larga dalla pazzia e dal "vale tutto".

La domanda sul perché dell'esistenza è diventata esplicita almeno da Leibniz in poi. Per alcuni è priva di senso, per altri è la questione fondamentale della filosofia. Per alcuni non c'è modo di rispondere, per altri - i credenti di qualsiasi fede religiosa o scientifica - la risposta è data.

Sostenere che "Nulla esiste" è un esercizio sofistico molto caro a Gorgia, ma difficile da prendere sul serio. Forse esiste poco, di certo il vuoto costituisce la maggior parte dell'universo, ma qualcosa esiste.
Scoprire che questo qualcosa possa venire dal nulla perché il nulla non è tale ma un continuo apparire e dissolversi di particelle e antiparticelle subatomiche, sposta il problema su questa strana danza e non risolve un bel niente.

Jim Holt cerca di affrontare il problema con il piglio di un detective che interroga testimoni illustri in cerca della Verità, anche se a tratti sembra più una guida dei luoghi cari agli intellettuali di Parigi, Londra e Cambridge che un'indagine metodica. Dopo un brevissimo excursus tra i filosofi classici (come non citare Parmenide, che aveva già risolto la questione a modo suo), passa a intervistare coloro che si prestano a dare un contributo, soprattutto astrofisici ma anche scrittori e filosofi. Tutti presbiteri di una certa risposta al problema dell'esistenza.

Meno coinvolgente e convincente di certe spy story matematiche ("L'ultimo teorema di Fermat", "Codici e segreti" - Simon Singh avrebbe forse reso tutta la storia in maniera più efficace), mi ha fatto almeno conoscere alcuni contemporanei del mondo anglosassone che non avevo mai sentito nominare: Adolf Grunbaum, "forse il più grande filosofo della scienza vivente"; David Deutsch, "largamente riconosciuto come uno dei pensatori più coraggiosi e versatili al mondo"; John Leslie, "cosmologo speculativo dai modi gentili e toni affabili".
E un testo non recente, il Dizionario del Diavolo di Ambrose Bierce, per cui la realtà è "il sogno di un filosofo impazzito".