domenica 22 giugno 2014

FILOSOFIA E PATOLOGIA

UNA METAFORA

So che non dovrei occuparmene, che sul problema della conoscenza aveva già detto qualcosa di definitivo Socrate più di 2000 anni fa (non è possibile, punto), che le uniche cose su cui ci possiamo interrogare sono le credenze delle persone, i loro desideri, i concetti che strutturano a partire da credenze e desideri. Ovvero, ciò che va dall'uomo in giù, ciò che egli produce e non ciò da cui proviene. Però non riesco a non interrogarmi sull'essenza della realtà.

Tutta colpa di Erwin Schrodinger, che oltre a essere stato un fisico quantistico, ha scritto anche di filosofia con un occhio all'induismo. Una volta ha prodotto una metafora stupenda, a proposito della posizione dell'uomo nel mondo:

Talvolta un pittore pone in un suo grande quadro una figura minore in cui rappresenta se stesso. Da un lato esso è l'artista che ha creato il tutto; nel quadro egli è però una figura accessoria senza importanza, che potrebbe anche mancare senza compromettere l'effetto complessivo.

Gli serve a spiegare un'altra affermazione, a dir poco sconvolgente (perché non ne siamo tutti sconvolti? Perché a settant'anni da quando scriveva queste cose, non sono state tratte conseguenze etiche e morali condivise universalmente? Eppure non era un santone cappellone indiano che gli occidentali possano liquidare come uno stravagante visionario, è stato un premio nobel austriaco le cui scoperte stanno alla base di buona parte della tecnologia contemporanea):

La ragione per cui il nostro ego senziente, intelligente e pensante è introvabile all'interno della nostra rappresentazione scientifica del mondo è spiegabile facilmente con otto parole: perché è esso stesso quella rappresentazione del mondo. Esso è identico col tutto e perciò non vi può essere contenuto come parte. E tuttavia: questi io coscienti sembrano essere molti, di mondi invece non ce n'è che uno.
...
Colui che scambia le sue allucinazioni o le visioni dei suoi sogni con la realtà, noi lo chiamiamo pazzo.
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Il mondo mi è dato una sola volta, non ve n'è uno esistente e l'altro percepito. Il soggetto e l'oggetto sono una sola cosa. Non si può dire che la barriera tra di loro sia crollata quale risultato delle recenti esperienze, per il semplice fatto che questa barriera non esiste.
Il mondo è dato in una sola volta. Nulla è riflesso. L'immagine riflessa e quella originale sono identiche. Il mondo esteso nello spazio-tempo è solo la nostra rappresentazione.

PATOLOGIA

A fronte di tutto questo, persino i deliri torinesi di Nietzsche acquistano qualche significato:

Quello che è spiacevole e che mette alla prova la mia modestia è che in fondo io sono tutti i nomi della storia...

Dopo che è risultato in maniera irrevocabile che sono stato proprio io a creare il mondo, anche l'amico Paul appare previsto nel piano del mondo...

Trascinato via da Torino con l'inganno e riportato in Germania da Franz Overbeck, finirà i suoi giorni catatonico in una clinica per malati di mente.

In conclusione mi chiedo: se vengono riconosciute come geniali e insegnate a scuola le posizioni a dir poco controintuitive di certi filosofi (si vedano anche il vescovo Berkeley e il vivente Ted Honderich - che gli editori italiani si guardano bene dal tradurre), perché i soggetti che sembrano percepire la realtà in un modo diverso da quello della massa sono bollati come malati? Perché Nietzsche è stato internato e Schrodinger no? Qual è il confine tra filosofia e patologia?


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