Ancora sul mio social network preferito.
Facebook è stato il primo a chiedere agli utenti di usare il nome proprio. Addio allo sfoggio di fantasia dei nickname, alla scelta di un avatar, a un insieme di simboli e invenzioni che ci rappresenti meglio di quanto non faccia il nostro aspetto.
La realtà è di nuovo quella "di fuori", che non è LA realtà ma solo ciò che i sensi ci restituiscono (si chieda a un pittore surrealista cosa pensa in proposito).
Presentando la nuova timeline che compare sui profili, Mark Zuckerberg ha detto questa perla:
Vogliamo fare in modo che la Timeline sia un po' come casa nostra. Sarà possibile curarla personalmente, nascondere quello che non vogliamo appaia, in modo che esprima veramente ciò che siamo.
Un network che ha il vezzo di associare il nome all'immagine, casomai, esprimerebbe ciò che veramente siamo proprio se facesse comparire quello che non vogliamo appaia. Siamo quel nome (di cui non siamo responsabili), quell'immagine (di cui siamo solo parzialmente responsabili), siamo una rete di relazioni, ma siamo solo una parte della nostra biografia: quella che ci piace mettere in mostra. Mah...
Diceva Jacques Derrida: Ho il gusto del segreto, ho un moto di timore o terrore davanti a uno spazio politico, per esempio, a uno spazio pubblico, che non dia spazio al segreto. Per me, esigere che si metta tutto in piazza e che non ci sia foro interno è già il farsi totalitaria della democrazia. Se non si mantiene il diritto al segreto si entra in uno spazio totalitario.
Ovvio che su Facebook si possa mettere solo ciò che si vuole, senza svelare proprio tutto tutto. Ma già a proposito del nome proprio, Andrea Tagliapietra nel 2002 chiosava:
In questo spazio totalitario, la prima domanda riguarda l'identità. Ogni rilevamento poliziesco inizia con la dichiarazione delle "generalità". Per Canetti è, questa, la richiesta più arcaica, che rivela "il dubitoso rapporto con la preda: Chi sei? Ti si può mangiare?". Con il possesso del nome (o la sua attribuzione mediante l'atto di nominare) si manifesta il potere assoluto di chi ottiene la rivelazione del nome su chi viene costretto a confessarlo. Si tratta di un potere di vita o di morte. Nella favola, splendidamente raccontata dalla musica di Puccini, il principe Calaf, "scioglitore di enigmi", vince Turandot indovinandone il nome e proponendo alla crudele principessa il controenigma del segreto del suo stesso nome. Come recita la celeberrima romanza, cavallo di battaglia di molti tenori: "Il mio mistero è chiuso in me / il nome mio nessun saprà!"
COSA SUCCEDE MENTRE SCRIVO QUESTO POST:
Nello stereo: la Turandot? No, Sick Tamburo, Sick Tamburo
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